La mia solitudine e il disagio sono state le chiavi che hanno segnato pesantemente la mia vita. Sono nato negli anni Sessanta e sono figlio unico. I miei genitori sono venuti in questa grande città negli anni 60 per ricostruire la loro vita, che è stata segnata da vari episodi di povertà in famiglia. Mio padre era poco più che quarantenne e faceva il tramviere. Mia madre aveva dieci anni in meno, veniva dal Sud e faceva l’operaia.
Mio padre non giocava quasi mai con me. Uomo duro, era manesco nei miei confronti, ma è diventato di una dolcezza infinita negli ultimi tempi, forse causata da quel male che l’ha portato via… Con noi viveva la sorella di mio padre; erano comproprietari della casa dove vivevo. Anche mia zia si sentiva in diritto di usare le mani contro di me. Io sono stato un bambino vivace: forse manifestavo il mio disagio anche a scuola, dove pure la mia suora insegnante era solita alzare le mani su di me. Mi ricordo ancora il suo “metti le mani dietro la schiena!” e le sue sberle.
Il quartiere in cui vivevo non aveva una buona nomea. Il Vallanzasca era un habitué del quartiere. Uscire da casa e trovare certa gentaglia intorno, nonché i drogati che si bucavano sotto i portici di casa mia, erano causa di continui disagi.
In una famosa estate tutto ha iniziato a precipitare. Mio padre non c’era più. Tra i compagni di classe ne frequentavo pochi, e sono andati tutti in seminario. Non li ho rivisti più tranne uno, l’unico che alla fine è diventato prete. Volevo diventarlo anche io, ma all’epoca mia madre non aveva neanche i soldi per piangere…
A quell’epoca ero già parecchio alto, e la mia schiena, su quei banchi delle elementari, si stava incurvando. Ho dovuto portare un busto di gesso per un periodo di un anno e mezzo. Come in ogni scuola che ho frequentato, se un ragazzo è disabile o manifesta disagi il branco è pronto a sottolineargli la sua fragilità. Non uscivo più di casa e avevo iniziato a fare una vita da solitario. I tre anni di medie sono stati terribili. Lo sono stati anche i cinque anni delle superiori, perché ormai ero diventato un asociale. E anche in quell’occasione sono stato emarginato dai compagni. Se mi prendevano in considerazione era solo per farmi dei dispetti. Non ricordo molto della mia infanzia e della mia adolescenza. Forse ho preferito dimenticare. L’unica parola che riesco a utilizzare come definizione è VUOTO.
Durante la mia adolescenza ho imparato a usare da autodidatta il computer. All’inizio non ce l’avevo: compravo le riviste di informatica, leggevo con avidità quei listati di programmi che a prima vista non avevano senso. Ho iniziato a pensare come digitarli e modificarli. Quando poi ho avuto il mio primo Commodore 64 ho iniziato anche a progredire, imparando il linguaggio macchina. Ormai potevo definirmi un esperto. Capivo meglio le macchine che le persone. E nel mio passato ho svolto anche attività da hacker.
Non sono mai riuscito a frequentare delle persone fuori dall’ambito scolastico. La mia vita era casa, scuola, casa. Tornavo a volte verso casa con un gruppo di compagni di scuola, finite le lezioni, ma nient’altro. Io stavo in silenzio; un carattere che mi è rimasto nel tempo. Nel gruppo c’era una compagna di scuola che mi piaceva. Non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. Al termine della seconda superiore non l’ho più rivista.
Durante l’ultimo anno di superiori, iniziato nell’86, il mio unico svago era andare a scuola guida. All’inizio ci sono andato di controvoglia. D’altra parte, mia madre mi aveva insegnato che ci si poteva muovere senza avere un’auto. Morto mio padre, lei non ha mai voluto riprendere a guidare. Se non aveva mai voluto guidare lei, perché avrei dovuto farlo io? Però ho passato bene quel periodo, e mi sono impegnato nella guida più che con la scuola. Una ragazza del gruppo il primo giorno di corso mi si avvicinò e fu la mia compagna durante tutto il corso. Ma non ho frequentato nemmeno lei al di fuori del corso e della scuola. Mi ricordo che quando entravo a scuola lei era dietro la finestra della sua classe. Ci scambiavamo un saluto e poi entravo in classe, e nient’altro.
L’ultimo anno delle superiori è stato un disastro. È morta la sorella di mio padre: quando mio padre stava male lei aveva preteso la sua metà di casa, e così ci ha lasciati in braghe di tela. Mia madre all’epoca è andata in cassa integrazione. Arrotondava la sua paga con le borse comprate dai cinesi e rivendute alle colleghe; insomma, ha trovato così il modo per farci risalire dal disastro. È stata ripagata con una vistosa cicatrice che le ha deturpato ulteriormente la pancia, come se il mio taglio cesareo non fosse già abbastanza. I proprietari della casa dove viveva mia zia, dopo la sua morte, ci hanno dato un periodo di tempo limitato per sgomberare la casa. Non riuscendo a smaltire mobili e oggetti abbiamo portato tutto a casa nostra. Sembrava un deposito. Mia madre, ansiosa di carattere, ogni giorno mi stressava con il suo bisogno di sgomberare la casa. Erano episodi che si ripetevano diverse volte nel corso di ogni giornata. La sua ansia si trasmetteva sul mio impegno scolastico. Volevo abbandonare la scuola, non ce la facevo più a sopportare quel disagio che mi trasmetteva mia madre. Ma la scuola l’ho comunque terminata: non so come sono riuscito a passare l’esame, ma ce l’ho fatta, anche se con voti molto bassi. Ho meditato per la prima volta il suicidio. Ma qualcosa in seguito mi ha distolto da questo pensiero.
Durante gli ultimi giorni di scuola ho ricevuto una lettera. Una ragazza mi aveva scritto. Era la ragazza del corso. Aveva da poco perso suo padre e mi chiedeva di frequentarci. In realtà lei non mi piaceva, così come non mi piaceva la figlia della mia vicina di casa, che pure faceva di tutto per farsi notare. D’istinto ho buttato via quella lettera. Ed è arrivata l’estate.
Ora, non ricordo né come né quando la ragazza del corso ha iniziato a telefonarmi, perché aveva bisogno di un accompagnatore per i colloqui di lavoro. Io non sono mai stato una persona forte: ho iniziato a cedere alle sue richieste e ad accompagnarla. Di lì a poco è diventata la mia ragazza, mentre la vicina di casa è rimasta tale. Era bello sentirsi importante per qualcuno, amato e al centro dell’attenzione. Dopo anni di solitudine mi sembrava di essere tornato alla vita.
Finita la scuola, andata com’è andata, mi sarebbe piaciuto studiare informatica. Ma io e mia madre non abbiamo mai navigato nell’oro. Trovare lavoro era pertanto la mia priorità. Quasi contemporaneamente io e la mia ragazza riuscimmo a trovarlo nell’88. Lo stesso anno sono partito per il militare. Nonostante la distanza il nostro fidanzamento è rimasto saldo.
Ecco, forse è proprio la mia debolezza di carattere che mi ha fatto fare dei passi più lunghi della mia gamba. In realtà ho subito anche molte pressioni. La mia futura suocera, ad esempio, non perdeva occasione per dirmi che si era sposata a 20 anni e a 21 aveva già una figlia. Ma anche la mia ex, quando voleva ottenere qualcosa, diventava un martello. Mia cognata si è sposata nell’estate del ‘94, e anche in quell’occasione ho ceduto all’ennesima pressione e ho chiesto alla mia fidanzata di diventare mia moglie. Ci siamo sposati nel dicembre di quell’anno.
Neanche due anni dopo, mia moglie ha iniziato a pretendere un figlio. Io volevo andare a fare una crociera in Egitto, perché sapevo che poi non ci sarei più andato. Abbiamo poi trovato l’accordo: ci siamo andati in 2 e siamo tornati in 3. Mia figlia è nata nei primi giorni del 97.
Il mio matrimonio non è mai stato brillante, con mia moglie non credo di avere mai vissuto una vera passione. ANSIA: ecco, questa è la parola giusta. Al contrario, ero e sono ancora innamorato di mia figlia. Nonostante tutto, nel 2002 abbiamo fatto un secondo figlio. Ho avuto purtroppo la sfortuna di vederlo morire l’anno dopo. Io a volte credo nei miracoli: il giorno del funerale abbiamo voluto un nuovo figlio, e nove mesi dopo è nato il nostro terzogenito. Era il 2004.
Il mio lavoro mi piaceva. Ero riuscito a diventare un responsabile informatico e mi sentivo importante. Poi, dopo la morte del mio secondogenito, ho iniziato ad avere dei cedimenti, che però ho trascurato. Al lavoro questi cedimenti sono stati deleteri, perché sono stato rimosso dal mio incarico. Ho subito del mobbing e ho iniziato nuovamente una fase di declino, che nel tempo mi ha fatto perdere autostima.
Ancora non so come il nostro matrimonio sia andato avanti. Sinceramente, non lo so. Nel 2011 un’amica di famiglia si è accorta della nostra crisi. Ci ha invitati separatamente a cena. Voleva che tornassimo insieme, e il motivo primario era per i nostri figli. Io mi sono rimesso in gioco raccontandomi. La mia ex invece non ci ha neanche provato. Da allora, mia moglie mi ha rivolto raramente la parola. È stata quella l’ultima volta in cui ho provato cosa fosse l’amore di una donna. La nostra amica invece si è allontanata.
Sempre quell’anno, c’è stato un piccolo episodio da parte di un’altra amica, che mi ha fatto capire che le piacevo. Ma rifiutai di iniziare una nuova storia. Ero intenzionato a risollevare il mio matrimonio. Con lei siamo rimasti ancora amici, fino a oggi.
I silenzi con mia moglie sono durati anni. Non riuscivamo più a comunicare. O meglio, lei qualche rara volta usava le mail per comunicare con me, ma quando le chiedevo di rispondere a voce non trovava mai l’occasione giusta per farlo.
Io ho iniziato a farmi delle amicizie in rete. Donne, per la maggior parte delle volte. Non so relazionarmi molto con gli uomini. Il più delle volte con gli uomini si parla soltanto di calcio e di donne. Non sono argomenti di cui amo conversare. Sono una persona integerrima. E non sono tifoso di calcio. Ho sempre avuto grande rispetto per le donne. Non ho mai cercato una compagna, o del sesso, al di fuori dell’ambito coniugale. Mi sono ritrovato così, alla fine, a parlare in rete per ore con persone con cui nel tempo ho consolidato l’amicizia. Alcune persone le ho incontrate tranquillamente.
L’unica cosa che mi mancava era riavere un rapporto con mia moglie. Non dico per fare del sesso, perché di quello non ne avevo un bisogno primario, ma per avere un dialogo. Nel novembre del 2016 mi ha inviato una mail dove mi aveva accusato di tante cose. Non le ho risposto. Ho pensato solo che fosse solo un incubo dal quale mi sarei risvegliato.
Siamo arrivati nel settembre del 2017. Ho parlato con un legale, che mi ha fornito dei consigli. Ho lasciato passare il compleanno di mia moglie e poi le ho fatto un discorso. Lei è rimasta in silenzio. Poi il giorno dopo mi ha scritto che aveva sentito un suo legale e aspettava delle bozze per un accordo di separazione. A ottobre mi ha fatto un regalo di compleanno. Credevo che fosse il suo modo di dire che potevamo ricominciare. Mi ha scritto nel pomeriggio stesso, per dirmi che era confusa. Le ho risposto che avevo bisogno di un confronto di persona. Non ho mai visto quelle bozze, e il suo silenzio è rimasto costante. A dicembre, dopo gli ennesimi silenzi, ho deciso di prendere un appartamento in affitto. E da lì è cominciato il nostro declino. Mi ha accusato di avere scoperto per caso dell’affitto, mentre invece le avevo già manifestato le mie intenzioni apertamente; inoltre ho ricevuto delle altre accuse false, per le quali sono rimasto allibito.
Nel frattempo, il clima al lavoro è peggiorato. Ho ricevuto delle pressioni lavorative sempre più pesanti. Con la separazione in corso, e mia madre che iniziava a non stare bene, ho ripreso a meditare la strada del suicidio. Mi ero iscritto da poco in OP, grazie a un incontro casuale con uno dei membri, e forse le mie intenzioni estreme sono trapelate tra i miei post. Un’altra persona di OP mi ha chiesto in privato di parlare con lei. Ci sono andato e abbiamo deciso insieme di farmi ricoverare. Era l’estate del 2018.
Dopo quell’estate, ero disposto a concedere tutte le richieste che mia moglie mi aveva esposto tramite il suo avvocato. Durante una cena a settembre un’altra persona di OP ha ascoltato la mia storia e mi ha fatto un pesante rimprovero per questo. Ci ho ripensato tutta la sera, e alla fine mi sono deciso a consultare uno dei legali di OP. Nel frattempo, il mio precedente legale ha avuto problemi con la salute di suo padre, e ha rimesso l’incarico. Allora ho chiesto al legale di OP di diventare il mio legale, e ha accettato.
Nel novembre del 2018 sono entrato a casa mia con gli ultimi scatoloni. C’era una festa nella mia via. Sembrava fatta apposta per me. Quella sera ha iniziato a piovere forte. Non sono più rientrato nella casa coniugale. Radio Deejay durante una sua trasmissione stava parlando di secondi tempi della vita di un giocatore di calcio. Invitò gli ascoltatori a scrivere. Ho mandato un messaggio anch’io, parlando del mio secondo tempo. Il mio messaggio è stato letto alla radio. E insieme ad esso gli auguri per una nuova vita. Il secondo tempo adesso compare nella descrizione del mio profilo in OP.
A febbraio 2019 c’è stato un altro episodio che mi ha riportato alla mente l’idea del suicidio. Ma alcune persone di OP sono arrivate fin sotto casa nel cuore della notte per farmi cambiare idea. Davvero in OP ho conosciuto delle bellissime persone, che mi hanno aiutato.
Dopo una giudiziale consensualizzata mi sono separato, a maggio 2019. Nel frattempo, ho riallacciato i rapporti con mia figlia, che da febbraio mi aiuta nell’accudire mia madre. Con mio figlio invece i rapporti sono stati sempre pacifici. Con la mia ex c’è solo silenzio; ma a questo sono abituato da molto tempo.
Io sono in terapia con psicologi e psichiatri, ma ora sto meglio. OP è un po’ come Radio Deejay. Mi ci sintonizzo per avere un po’ di compagnia. Ogni tanto posto le mie cazzate o idiozie, come qualcuno le ha apostrofate. Ma sto meglio, perché so che riesco a fare sorridere qualcuno con i miei post. E del sorriso tutti ne abbiamo bisogno.
Oggi su Radio Deejay hanno chiesto di interagire con lo studio a proposito di convivenza in tempi di coronavirus. Ho manifestato la mia gioia di essere single. Sono felice di esserlo. E da questa mia felicità voglio ripartire.
Una donna nella mia vita? Al momento non ci voglio pensare. Amo credere che, se mai un domani ci sarà, mi ritroverò dentro a un sentimento senza accorgermene. Perché, anche se sono abituato a essere solo, noi non siamo fatti per stare soli.