In una grande città, nel 1969 …il mio primo vagito!
Non so quale giorno della settimana fosse, e nemmeno dell’orario ho un ricordo preciso: di certo so dalle carte che quel giorno venni al mondo. Mio papà trafficava nel suo amato orto e solo a sera, venendo in ospedale, seppe del mio arrivo.
Parlano di karma o segni premonitori: certo è che scelsi accuratamente di nascere in una famiglia in cui l’amore era un concetto vago, forse sentito solo nominare sui libri Harmony. Ma erano gli anni ‘70, il mondo era in fermento e le ferite educative e morali lasciate dalla guerra erano ancora aperte.
Racconterò spesso di me con sarcasmo e amarezza, perché fino ad un certo punto della mia vita è questo il mio film; ormai tutto o quasi è stato integrato, ma mettere altri fotogrammi a colori in una pellicola grigia non porterebbe a nulla. Ciò che c’è stato di buono è stato preso, il resto sono come delle spoglie del tempo che fu. Scheletri di dinosauro.
La prima parte dell’infanzia, fino a tre anni, fu tutto sommato tranquilla: genitori che lavoravano ed io affidato ad una tata. Poi nacque mio fratello e tutto cambiò.
Eravamo già una famiglia particolare prima dell’arrivo di Luca: mio padre era invalido da un braccio a causa di una bomba inesplosa che trovò da adolescente, abbastanza tipico in quegli anni, e quindi l’arrivo di un figlio Down fece deflagrare i problemi che i miei già avevano, sia loro personalmente che tra di loro.
Dopotutto, alla maggior parte delle persone di quella generazione, figli della guerra, non fu dato il tempo di elaborare il lutto dei dolori attraverso i quali erano passati. Furono catapultati nel boom economico, nella cultura che spinge ad avere cose per poter dimenticare, o a cercare di godersela, perché l’indomani avrebbe potuto portare un’altra tragedia.
Cominciarono così i litigi tra i miei, che in realtà non erano nemmeno litigi: per motivi a cui io non avevo accesso, dopo un breve battibecco mio padre si chiudeva in un mutismo che poteva durare anche 6 mesi, e non esagero, perché successe più di una volta.
Mia madre, una persona semplice e purtroppo non propensa a progredire, gestiva come meglio poteva i suoi due figli; giustamente dedicando il 90% delle sue risorse a mio fratello. E qui c’è la prima cosa che ho imparato, e per la quale sento di dare un consiglio a chi si trova nella situazione di avere uno dei due figli con disabilità: ricordatevi che avete due figli e, paradossalmente, chi più farà fatica nella vita sarà quello sano, perché l’altro avrà sempre qualcuno che si occuperà di lui.
Arrivò l’adolescenza, e il senso di abbandono e inadeguatezza arrivò come un macigno all’inizio delle superiori. Complici gli ecofattori esterni, vissi quegli anni come stordito, senza capire chi fossi, e cercando di “scimmiottare” gli altri coetanei per sentirmi “uguale” a loro. L’unica risposta fu che ero uno sfigato. Sempre senza soldini in tasca, perché i miei non pensavano mi servissero: avevo la merenda, portata da casa, e bisognava risparmiare. Secondo loro, non era necessario che un quindicenne spendesse tutti quei soldi negli abiti e nel cibo fuori casa. Erano gli anni ‘80, epoca di edonismo spinto. Avevo bisogno di essere uguale agli altri, già troppe cose mi rendevano diverso. Gli amici, la compagnia erano solo una facciata, appena si prospettava un evento mondano o qualcosa di interessante io ne rimanevo all’oscuro. Erano gli anni dell’eroina, mi salvò la moto.
Se non avessi avuto la possibilità di comprare il motorino prima e la moto in seguito, sarei finito come tanti coetanei: morto per overdose.
Se non avessi avuto la possibilità di comprare il motorino prima e la moto in seguito, sarei finito come tanti coetanei: morto per overdose.
Abbandonai gli studi dopo il primo anno di superiori, un po’ demotivato dalle mie esperienze e un po’ per avere quel poco di autonomia che qualche lira in tasca garantiva. E comunque, studiare quelle cose era una fatica immane: non capivo la matematica, e tutt’ora concentrarmi richiede uno sforzo notevole, poiché la mia mente divaga ininterrottamente. Se fossi andato a scuola al giorno d’oggi, mi avrebbero diagnosticato qualche deficit “alla moda” e avrei avuto il sostegno.
Cominciai a frequentare gruppi di motociclisti, i motoraduni e le vacanze in moto, e cominciai soprattutto a capire che la mia ricerca di stare in gruppo era la ricerca di una famiglia.
Presi parte alla prima settimana di selezione per la carriera militare, venni scartato per via della vista (e sì, anche la miopia mi rendeva diverso). Queste possono sembrare banalità, ma invito a mettervi nei miei panni: senza una famiglia di supporto, con genitori e un fratello “particolari”, sentirsi quantomeno diverso e poco fortunato credo sia una conseguenza più che plausibile. Mangiavo pane e invidia verso chiunque, finché ormai, a 45 anni suonati, andai in terapia e finalmente trovai la giusta psicologa. Gran parte del suo lavoro fu togliermi dalla mente che tutti gli altri erano più belli, più intelligenti, più ricchi, più…più…più…più… ma questo avvenne dopo che mi separai.
Faccio un passo indietro.
Conobbi quella che poi diventò mia moglie quando avevo 24 anni. Fino ad allora avevo avuto solo due fidanzatine, ed ebbi il mio primo rapporto a 19 anni. Anche su questo fronte non potevo certo vantarmi, non sono mai stato popolare tra il gentil sesso, anzi.
La presenza di mia moglie fece scattare in me alcuni meccanismi: lasciai un lavoro da operaio e acquistai una licenza di taxi, andai a convivere con lei senza nemmeno avvisare i miei. Dopotutto, la mancanza di ascolto da parte dei miei genitori, e il fatto che non li consideravo come un punto di riferimento, mi esentavano dal fatto di metterli al corrente.
La mancanza di ascolto da parte degli altri sarà fondamentale nel mio cambiamento e nel mio futuro, ma di questo parlerò più avanti.
Dopo un anno circa di convivenza, lei decise che dovevamo sposarci. Diceva: “Ormai è un anno che viviamo insieme; se non ci sposiamo cosa facciamo?”.
Io ero insicuro e timido nei rapporti con l’altro sesso, mancavo di esperienza ed ero circondato da persone secondo le quali alcune storture della vita di coppia erano inevitabile normalità; allora accettai: dopotutto, le volevo bene. Amarsi era un’altra cosa, ma anche questo lo capii in seguito.
Divenni padre, due volte. Le mie figlie hanno due anni e mezzo di differenza, le adoro e spero che un giorno capiscano che la separazione non è avvenuta a causa loro ma per il loro bene e, anz,i spero che non sia avvenuta troppo tardi: mi sono separato che ormai frequentavano le scuole superiori.
Ma il pensiero della separazione nacque molto prima: ricordate le inevitabili normali storture della coppia e la mancanza di ascolto di cui ho parlato prima? Ecco, i nodi vengono al pettine. Sempre.
Andiamo con ordine.
Ad un certo punto cominciai a sentirmi trascurato e non valorizzato da mia moglie: una sensazione di pancia che mi faceva essere irascibile e rabbioso, ma non ero capace di parlarne. Arrivavo da genitori assenti e quindi non avevo imparato a gestire i rapporti interpersonali: mi sentivo come se non fossi un marito ma un manutentore, autista e bancomat e, come detto, nutrivo invidia per gli altri, che a mio parere vivevano una vita di coppia appagante. Nessuna condivisione di alcun tipo, solo lavori domestici e routine quotidiana fatta di impegni, figuriamoci poi dei momenti per noi due. La sessualità era un evento fortunosamente mensile. Quando provai a confrontarmi con altre persone della nostra cerchia mi venne detto che era normale. Bugie!
Devo fare un inciso chiarificatore: psicologicamente, le persone reagiscono ai disagi dell’infanzia e alle conseguenti ferite generalmente in due modi: o imitano i comportamenti dei genitori e si adeguano, oppure reagiscono e si comportano al contrario di ciò che hanno vissuto. Io faccio parte della seconda categoria; credo quindi nelle manifestazioni d’affetto, nel contatto, nella presenza, e credo e cerco di essere un padre e un compagno attento e presente.
Torniamo alla storia.
Una sera, vicino a Natale, convinto di riavvicinare mia moglie mostrandole attenzione e organizzando una sorpresa, la avvisai che sarei arrivato a casa dal lavoro con il suo regalo. La trovai che dormiva pacifica nel letto. Era notte, ma io mi aspettavo di trovarla almeno sul divano ad aspettarmi, curiosa per il suo regalo o, quantomeno, di trovare un misero biglietto di riconoscimento per averle portato il suo pacchetto. Nulla. Preso dalla rabbia schiacciai e accartocciai il pacchetto e lo buttai in pattumiera.
L’indomani lei, giuliva, venne a svegliarmi ringraziandomi, pensando che aver trovato il regalo nella spazzatura fosse stato uno scherzo. Per la prima volta riuscii a dirle come mi sentivo e cosa pensavo. Doveva prepararsi per andare al lavoro e non finimmo la discussione.
La discussione non venne più ripresa.
Decisi che, per stare così, era meglio stare da solo; promisi a me stesso che appena la piccolina avesse compiuto i 18 anni, in capo ad una settimana avrei lasciato mia moglie. La piccola aveva 3 anni all’epoca.
Da quella sera il disagio esistenziale si acuì, qualcosa si era mosso.
Andai per la prima volta da una terapeuta, la stessa psicologa che aveva in cura mia moglie da anni, senza risultati apprezzabili.
Ma la domanda di fondo, il bruciare delle ferite cominciò a venire fuori, e il pensiero fisso diventò quello di cambiare la mia vita.
Cominciai a chiedermi come avrei potuto organizzare gli anni a venire per poter sopravvivere a tale grigiore.
La ferita dell’abbandono, il fatto di non essere riconosciuti fecero risuonare in me il bisogno di trovare un’altra persona che potesse darmi quello che a casa non avevo. Ma come poteva essere realizzata questa eventualità, se il rapporto col femminile era stato fino ad allora penoso? E’ qui che intervenne l’Universo: attraverso un programma radiofonico scoprii l’esistenza di un “manuale del seduttore”. Lì per lì pensai fosse una ridicola stupidaggine, sebbene la cosa mi avesse incuriosito molto. Passarono alcune settimane e, casualmente, trovai quel libro in una bancarella. Non persi l’occasione e lo acquistai.
Al di là delle presunte tecniche di attrazione e conquista, quel libro mi diede una prima infarinatura di PNL (Programmazione neurolinguistica) che è alla base di molte tecniche di coaching; e, soprattutto, trovai tra le pagine degli esercizi per aumentare l’autostima.
A cascata arrivarono decine di altri libri, dal self coaching alla motivazione, dalla posturologia alle tecniche per orientare il pensiero creativo, dal pratico allo spirituale; la mia biblioteca cresceva a vista d’occhio ed io CAMBIAVO!!
Arrivò anche una relazione, durò sette anni.
Iniziai a cambiare dieta, pane e invidia cominciarono ad essere indigesti. Fuori casa avevo attenzione, affetto, riconoscimento e sessualità; a casa avevo ordine, quotidianità e, cosa stra-importante, le mie figlie. Continuavo a leggere saggi e manualistica di auto-aiuto e crescita personale, finché si presentò l’occasione di un seminario di Yoga Tantrico per la coppia.
Lo frequentai da single e, quando rientrai dal weekend, molti notarono il mio cambiamento, in primis mia moglie. Non era successo nulla di piccante! Semplicemente avevo imparato cose nuove, e messo in pratica alcuni insegnamenti letti in precedenza. Imparai a guardare le persone negli occhi e iniziai a percepirmi come una persona “degna”.
Dissi a mia moglie che sarebbe stato bello partecipare ad un seminario insieme, e lei convenne che alla prossima sessione avremmo partecipato. Vissi questa sua apertura come un segno positivo per rivivere nuovamente la nostra storia, lasciando l’amante e dedicandomi a lei.
Passarono alcune settimane senza che lei esternasse segni di interesse o curiosità per l’esperienza che avremmo vissuto. A pochi giorni dal weekend dell’evento mi disse che non ci sarebbe venuta, perché aveva paura di cambiare, e che se fosse cambiata il cambiamento stesso avrebbe potuto piacerle.
Vidi davanti ai miei occhi una porta che si chiudeva. Mi aveva definitivamente perso. Dopo poche settimane, le comunicai la mia intenzione di lasciarla.
Ormai ero in piena corsa verso il nuovo me!
La nuova vita da single mi portò una relazione intensa, tornai ad innamorarmi come un adolescente ma, ahimè, incappai in una rara donna Narciso.
Tramite una comune amica arrivò OP e gliene fui grato.
Ma nulla viene a noi inutilmente: attraverso la narcisa conobbi la biodanza e lo yoga della risata, due discipline che mi fecero e tuttora mi fanno fare un salto esistenziale, in una direzione a cui non avevo mai pensato, ma che invece trovo che mi calzi molto.
Così, imparai a conoscermi, e soprattutto a dare un nome ed una forma a quelle sensazioni, a quei sogni che sin da ragazzino sentivo dentro di me ma che erano confusi, sfuocati.
Divenni genitore di me stesso.
Pian piano prese in me il bisogno di una vita con la V maiuscola, il bisogno di contatto con la natura, di un quotidiano che avesse un senso e di un progetto da poter presentare agli altri come “altra via” per trovare se stessi. Pomeriggi e serate al computer per cercare un posto mio, dove poter realizzare i miei bisogni, il mio gioco.
Arrivai in una valle, in queste baite nel bosco dove ora vivo. Ho ribaltato la mia vita, mi sono preso dei rischi e ora mi affido all’universo senza preoccupazioni, o quasi. La solitudine non mi spaventa, perché ora l’ho interiorizzata come parte destinata a me, che sia Karma o qualcos’altro, ora ci sto anche bene. I bisogni di vacanza, cinema o altro si sono automaticamente dissolti nel momento in cui la mia giornata ha un ritmo e un senso più “biologico”, più vicino al naturale fluire. Questo non significa che non mi piaccia andare a vedere nuovi posti o un bel film: significa che non ne ho più bisogno, perché faccio quella che per me è una vita coerente alla vita stessa e quindi non frustrante, non tale da creare il famelico bisogno di evasione. Ho scelto di vivere tutti i giorni e non solamente nel weekend, per dirla in modo spiccio.
Credo e porto avanti l’idea che un mondo diverso, fuori da certe schiavitù, sia possibile e benefico per tutti. In questo cerco di creare un luogo di pace e, se possibile aiutare chi vuole cambiare la sua vita offrendo gli strumenti che ho.