Raccontaci tua storia: quanti anni hai, dove vivi, quanti figli hai, com’è stata la tua relazione.
Io sono divorziata da una decina d’anni, e ormai è come se il mio matrimonio facesse parte un po’ della storia di un’altra vita… Nella mia storia non c’è stato un tradimento eclatante, non ci sono state violenze, problemi economici o situazioni del genere. Non c’è stato un motivo deflagrante per la rottura: semplicemente, mi sono disinnamorata di mio marito. Non l’amavo più: a quarant’anni, riflettei a lungo, non potevo reggere l’idea di andare avanti con lui fino alla maggiore età di mio figlio. Avevo davanti altre coppie che erano rimaste insieme, ma poi alla fine si detestavano l’un l’altra; e non volevo fare la stessa fine, perché stare insieme con uno che non ami non è certamente una bella situazione. Certo, anche la separazione è comunque una situazione brutta, perché si sgretola tutto un progetto di una vita, a cui io tenevo molto; qualunque decisione si prenda, chiaramente, alla fine provi lo stesso grande dispiacere e delusione.
Quando mi sono accorta del problema ho proposto al mio ex marito una terapia di coppia, ma lui non ha voluto andarci. Ha provato ad andare via per tre mesi, poi è tornato, siamo andati in vacanza insieme, abbiamo provato a rimetterci insieme soprattutto per il bene del bambino, e poi anche perché vedevo che lui ci teneva ancora tanto. Visto che ero entrata in crisi prima di lui, gli proposi di fare qualsiasi cosa per riprovarci. Al momento lui sottovalutò la situazione, come fa di solito. Però ci abbiamo provato tutti e due, ognuno coi suoi tempi. Anche lui ha fatto di tutto per cercare di recuperare; però, quando si è mosso lui, per me ormai era troppo tardi: da parte mia c’era ancora molto affetto, ma non l’amavo più. In ogni caso, il fatto di provarci fino alla fine ci ha comunque permesso di rimanere con una certa stima reciproca. Non ci siamo fatti troppo male a vicenda e, non essendoci poi di mezzo un’altra persona da parte mia, questo ha consentito che lui, malgrado la sua sofferenza, non mi abbia mai dato della stronza o insensibile, perché alla fine entrambi abbiamo fatto tutto il possibile.
Lo vedo anche in altre coppie: se c’è di mezzo un’altra persona, un tradimento eclatante, al contrario, la risposta emotiva è più intensa. Secondo me, è più semplice distaccarsi quando succede che una delle due parti si disamora senza un terzo incomodo. È ovvio che l’altro soffra, perché l’ideale sarebbe che tutti e due si disinnamorino più o meno nello stesso periodo. Tuttavia, non sempre la cosa è così gestibile: io mi rendo conto che mi sono allontanata dopo i primi anni in cui sono diventata mamma, perché ho fatto un certo percorso personale, sono maturata, mentre al contrario lui è rimasto uguale a sé. Non potevo fargliene una colpa, perché lui è sempre stato così, un po’ egoista. Mentre io mi sono resa conto che proprio le nostre due strade, a un certo punto, erano divergenti, e non si poteva più tornare indietro. Il mio ex è sempre rimasto uguale, e perciò non capiva perché mi fossi allontanata e cosa fosse successo. In realtà lui non ha fatto nulla di particolare: cioè, semplicemente mi sono accorta di trovarmi di fianco una persona che non era più quella di cui mi ero innamorata, perché avevamo fatto due percorsi diversi. Io avevo trovato un equilibrio con il figlio, la famiglia eccetera; lui invece era ancora fermo su di sé, non aveva fatto quel trasferimento di prospettiva necessario verso la famiglia, cercando un nuovo equilibrio in un nucleo di tre persone. Ha continuato a condurre la propria vita – non da single, perché poi non mi ha fatto mancare nulla – ma non ha fatto quel passaggio, quello scatto per dirsi: “Adesso divento genitore, la famiglia si allarga. Ora siamo in tre e io mi devo dedicare alla famiglia. Devo spostare il baricentro sulla famiglia, non più su me stesso”. Lui è rimasto sempre esattamente uguale: anche adesso è così. Non gliene faccio una colpa. Io ho fatto un certo tipo di percorso, sono maturata perché sono diventata mamma, e lui no. Cosa avrei potuto dirgli? “Sei uno stronzo, perché non sei arrivato al mio stesso punto, non hai fatto il mio stesso percorso?”.
Sicuramente io l’ho vissuto in maniera più serena. Tendenzialmente sono una persona conciliante. Se tu mi fai soffrire, io non rimango là a litigare, non divento aggressiva né tento di umiliarti. Io mi allontano. Certo non rimango ferma, impantanata in una situazione che non riesco a risolvere o a modificare. A un certo punto mi rassegno e mi allontano, se non posso modificare le cose. Dove posso, invece, ci metto del mio per uscirne e per aiutare anche l’altra persona. Io glie lo avevo detto che mi stavo allontanando, gli avevo proposto la terapia di coppia, ma in quel periodo lui non era ricettivo. In quel momento la questione era proprio quella di chiedere aiuto, perché avevamo bisogno di cose e stimoli diversi in momenti diversi. Non potevo farne una colpa a lui di essere arrivato tardi. Avevo capito che, anche se gli manifestavo il mio disagio, la mia infelicità, lui non mi capiva, non riusciva a comprendere. Io sono molto trasparente, e quindi, quando era diventato palese per me che non funzionava più tra noi due, gli dissi appunto di non essere più innamorata: “Ti guardo con tanto affetto, dopo quindici anni e un figlio insieme, ma non ti amo più come prima. Mi dispiace”. Vedevo lui ancora innamorato, ma io non provavo più le stesse cose. Sapevo di ferirlo nel dirglielo, ma non volevo ingannarlo. Conoscendo lui, e soprattutto conoscendo anche me stessa, incapace di mentire, non mi sono sentita di continuare. No, non potevo reggere l’idea di fare altri quarant’anni così, con il solo affetto. Gli ho detto: “Prima o poi capiterà che invece mi innamorerò di un’altra persona e poi a quel punto finirò per ferirti veramente. Non voglio arrivare a quel punto, mi stacco prima”.
In realtà, avevo tutti contro, perché nessuno capiva la mia scelta, e quello un po’ mi è pesato: essere rimasta da sola su tante decisioni e biforcazioni della vita. Ho preso un po’ le distanze dalla mia famiglia, affermando “Non lo amo più, mi separo qualunque cosa voi diciate”. L’ho detto quando ormai la crisi era già molto avanti e avevo già preso la mia decisione, e qui non ho subito le pressioni dalla mia famiglia, anche se erano tutti dispiaciuti e fortemente contrari. Non ce n’era uno che fosse dalla mia parte, però io più di così non potevo e non riuscivo a fare. A un certo punto ho detto a tutti: “Io non sono più felice, e non renderei felice neanche lui rimanendo in una situazione che non è più condivisa”. Mi rendo conto che magari, in altri casi invece, possono avere inciso pesantemente le pressioni della famiglia, dei figli oppure la situazione economica. Nella mia famiglia, la prima ad essere separata sono stata io, e quindi mi sentivo un po’ sola nel mio ambiente familiare. Fortunatamente, gli amici comuni sono rimasti amici di entrambi, e quindi non c’è stato un taglio netto con la vita di prima. Alla fine, siamo riusciti a trovare un equilibrio, e così, oltre a potermi concentrare su mio figlio, ho potuto anche riprendere un po’ i viaggi, le vacanze e i contatti con gli altri, in modo tale da non isolarci.
Potevo fare di più, potevo fare meglio? Forse, ma sinceramente le ho provate veramente tutte, e anche lui; quindi direi di no, che non ho il rimpianto di dire avrei potuto fare di più. Ci abbiamo provato veramente tutti e due, ciascuno con le proprie armi e forze, ma non ha funzionato. Al momento in cui ho chiesto la separazione, ovviamente, c’è stato un conflitto, perché lui si è sentito sbattuto fuori di casa: vedeva meno suo figlio e tutta la sua vita è cambiata. Capivo la sua sofferenza; allora, anziché arroccarmi sulle mie posizioni ho cercato di rendere la cosa più fluida possibile, concedendogli di vedere il figlio tutte le volte che voleva. Lui viaggiava tanto, quindi gli andavo incontro con gli orari. Il bimbo, anche se aveva solo tre anni, ha iniziato subito a dormire a casa del papà. Abbiamo arredato la stanzina con parte delle sue cose, e ho cercato, dove possibile, di rendere meno traumatica la separazione per tutti, sia per il mio ex che per mio figlio. Ho cercato di essere elastica. Anche lui, comunque, alla fine ha capito e ha cercato di venirmi incontro su altre cose: ognuno di noi ha cercato di non irrigidirsi sulle proprie posizioni. Questo ha permesso una separazione consensuale con un unico avvocato, e così è stato anche il divorzio, in cui abbiamo confermato gli stessi accordi. Io sono rimasta nella casa coniugale. Sono subentrata al mutuo e a tutte le spese, dietro suggerimento dell’avvocato, quindi non c’è stato neanche più il vincolo economico per lui. Non l’ho svenato con il mantenimento, perché comunque io avevo un mio buon stipendio. Tolti il problema economico e il fatto che non ci siamo fatti troppo male, non c’era troppa aggressività né troppo rancore, e perciò, dopo i primi anni, è stato più facile trovare un equilibrio: venirsi incontro per le vacanze, per i viaggi di lavoro, tutte le volte che lui voleva vedere il bambino. Tra l’altro, questo ha disinnescato anche quelle piccole ripicche o magari discussioni che ogni tanto lui cercava di accendere, smorzandole. Non sono un tipo rancoroso e non mi piace discutere. Ci siamo sempre voluti bene e, secondo me, il fatto che io capissi che lui soffriva ha aiutato a trovare un certo equilibrio, soprattutto i primi anni che sono stati i più complicati. Ha cercato subito un’altra compagna e la relativa convivenza. Fortunatamente, la sua nuova compagna era una brava persona, quindi anche con mio figlio non ci sono stati attriti o gelosie.
Questo è stato possibile perché era la situazione migliore per tutti, ma soprattutto perché ho sempre messo nostro figlio davanti a tutto, e questo forse è stato positivo. È stato un mix di fattori: se avessimo avuto problemi economici non sarei stata così serena, sarei diventata una iena; invece, avendo un mio lavoro, per la casa sono subentrata io, così lui è stato libero di farsi una casa e tutto il resto di cui aveva bisogno o doveva ricostruire. Questo ci ha avvantaggiato, perché vedo altre persone che invece si intestardiscono sui soldi, magari perché il marito non sempre è una brava persona e non paga gli alimenti, o perché c’è la famiglia che si mette di mezzo, o perché c’è un tradimento, e così via. Se a un certo punto scade la stima, perché ti ferisci in qualunque modo oppure arrivi a litigare continuamente e ferocemente, arrivi magari ad odiare il coniuge, ed è molto peggio.
Come hai fatto a superare la crisi, a trovare il tuo equilibrio?
La prima storia che ho avuto dopo la separazione forse è stata un po’ una stampella. Lo dico col senno di poi, perché al momento, forse, tutti e due non eravamo sereni, non avevamo raggiunto un equilibrio né interiore né coi rispettivi ex. Buttarsi in una storia già un pochino complicata da quel punto di vista – due separati con un figlio ciascuno – è stato un susseguirsi di alti e bassi, troppo difficile e faticoso da gestire. Questo sempre col senno di poi. È finita, e in seguito ho incontrato invece un’altra persona, che è il mio compagno attuale, con il quale le cose sono state molto diverse fin da subito: tutti e due avevamo raggiunto un equilibrio con gli ex, tutti e due avevamo i figli un pochino più grandi, e forse eravamo anche più simili, più equilibrati. C’erano quindi più motivi per cui questa seconda storia potesse funzionare molto più della prima: io non avevo più bisogno della stampella e nemmeno lui. Ci siamo trovati quando già avevo iniziato a fare un percorso individuale, che abbiamo continuato insieme. Eravamo forse più ricettivi per dedicarci agli altri, agli amici e a OP, ad altre persone. Quindi questa storia ha funzionato molto di più della precedente, e adesso aiutiamo un po’ chi magari si ritrova in difficoltà nel periodo dello tsunami iniziale. Insistiamo sul fatto che comunque in OP all’inizio ci si appoggia alle esperienze degli altri, al loro vissuto, e così via. Era benefico per me uscire con altri genitori e far vedere a mio figlio che comunque c’erano altre realtà simili alla nostra, in cui ci si poteva divertire e uscire. Non eravamo più isolati o diversi dagli altri nuclei familiari. Quando ho raggiunto io un equilibrio mio personale, ho cercato di restituire quello che avevo ricevuto, accogliendo i nuovi arrivati in OP, cercando di aiutarli anche nelle piccole cose, che magari avevamo già raggiunto io e il mio ex: ad esempio, lo schema per le spese, il calendario bimboso, redigere l’atto di separazione, concordare le vacanze, le feste, eccetera. Quindi ho cercato, dove possibile, di trasmettere e di condividere con gli altri l’esperienza che io avevo avuto prima, proprio perché, avendo ricevuto tanto, volevo poi ripagare un po’ la comunità di quello che avevo ricevuto. Col tempo si sono create delle belle amicizie in OP, nate magari durante le vacanze, dalla sintonia e dalla familiarità per alcune situazioni vissute: cercavo e cerco tuttora di trasmettere positività, di aiutare gli altri a trovare un equilibrio. Se si riesce a vivere tutti in un equilibrio psicologico, economico, familiare e con tutte le persone coinvolte, è molto meglio.
Io, come ho già detto, non ho avuto problemi economici per la separazione, né grossi conflitti, e quindi ero in grado di poter gestire magari meglio alcune problematiche col mio ex: io gli sono venuta incontro per il lavoro, lui mi è venuto incontro economicamente per permettermi di accollarmi il mutuo. Ognuno ha cercato di trovare un equilibrio, e questo, a distanza di tempo, è stato un bene. Si vedono altre realtà in cui dopo dieci anni i due ex sono ancora fermi, con divorzi conflittuali, psicologi o assistenti sociali e incazzature varie, oppure con problematiche coi figli che devono andare dallo psicologo per ricevere un supporto. Effettivamente, prima si raggiunge un equilibrio con l’ex a beneficio dei figli, meglio è per tutti.
Noi abbiamo cercato di disinnescare le mine di volta in volta, e questo ha permesso comunque di mantenere una certa stima tra noi due, e anche con i nuovi compagni. Quindi, ad esempio, non ci sono stati musi lunghi alle feste della scuola, dove eravamo presenti tutti e due come genitori. È stato fondamentale il fatto di parlarsi ancora e trovare comunque degli accordi, un certo equilibrio che per me era importante, sia per come sono fatta io, sia per la storia che abbiamo avuto insieme – che comunque coi vari tira e molla è durata tanti anni – e sì, anche per il benessere di mio figlio, che ci ha visto litigare pochissime volte. Quando è capitato di litigare, infatti, non era mai in presenza di nostro figlio. Questo, secondo me, ha aiutato lui ad essere più sereno, perché non ha visto il peggio dei propri genitori.
Le parole feriscono: noi non siamo mai arrivati a dirci delle cose pesanti, a offenderci o a farci dei grandi torti o dispetti tanto da fare incazzare l’altro, perché poi quella è una strada di non ritorno. Io lo vedo in altre coppie: è difficile tornare indietro, quando c’è un crescendo di incazzature e cattiverie. Abbiamo sempre cercato di farci dei favori, di venirci incontro per il benessere di nostro figlio e anche nostro, individuale. E’ rimasto un buon rapporto personale, c i siamo visti non più come coppia, ma come genitori: per il bene di nostro figlio abbiamo cercato di tenere il peggio per noi, di gestire il peggio di ciascuno con noi stessi. Nostro figlio era piccolo, si è adattato facilmente e non c’è stato nessun ricatto morale, cosa per cui il bambino potrebbe poi avere avuto una regressione o andare male a scuola. Io ho comunicato subito all’asilo che stavamo affrontando una separazione e che, se avessero notato qualcosa di diverso in mio figlio, ne avremmo parlato tutti insieme. Ho cercato di anticipare eventuali problematiche anche a scuola. Il bambino era sereno: vedendo me serena, il papà sereno, a quel punto, essendo piccolo, si è adattato gradualmente alla nuova situazione: due case, un genitore alla volta… Non abbiamo avuto un figlio problematico, non ho avuto un ex impazzito che mi facesse chissà quali torti; la mia famiglia mi è stata molto vicina, comunque, anche se inizialmente non condivideva la mia scelta. Io mi sentivo da sola già prima, perché con quel lavoro lui era sempre via, e quindi la mia vita non è cambiata tanto: facevo già le cose da sola con mio figlio prima della crisi, e quindi non è cambiato un granché poi. Sì, penso che sia stato questo, perché lui era piccolo, perché noi non siamo mai stati aggressivi verbalmente o fisicamente, non siamo arrivati a discutere, a litigare, a odiarci per tanto tempo in casa. Togliendo tutti questi fattori di stress o che peggiorano la situazione, che vedo in altre coppie, non ci siamo mai fatti ripicche o cattiverie gratuite, e la rottura è stata abbastanza gestibile, certo non completamente indolore. Anch’io mi sono fatta dei pianti, ho avuto dei momenti di ripensamento; però, più di così io non potevo fare, non potevo costringermi in una situazione che non volevo, per decenni. Sarei finita per odiare lui per la scelta che avrei fatto io, la scelta di chiudermi dentro in una gabbia, che non volevo, per il bene di chi mi stava attorno. Essendo abbastanza autonoma mi sono detta: vado avanti con le mie forze, con la famiglia comunque presente, gli amici comuni che poi sono rimasti amici di tutti e due e non si sono schierati. Tutto sommato, la scelta che ho preso è andata avanti da sola: piano piano mi sono distaccata e abbiamo raggiunto un equilibrio fra tutte le persone coinvolte.
Tuo figlio come l’ha presa? Come vive adesso, come ha vissuto la situazione?
Mio figlio aveva tre anni quando mi sono separata. I primi due anni sono stati un pochino complicati, perché, appunto, mio marito non era d’accordo, e nostro figlio era piccolo. Abbiamo subito spiegato al bambino che avrebbe avuto due case diverse: era ancora nella fase in cui accettava quello che dicevano i genitori, le spiegazioni sono state sufficienti. Non gli è mai mancato l’affetto da entrambe le parti, ci ha visti tutti e due presenti, e quindi già quando era piccolo ha accettato il fatto che papà e mamma non si volessero più bene e che stavamo meglio in due case separate. Il bimbo ha accettato bene il fatto di avere due case e tutte le questioni collegate; certo, capitava che quando magari era stanco, alla sera, voleva stare con me, faceva i capricci e non voleva andare col papà. Questo è successo nei primi anni, quando ne aveva appunto tre o quattro, e già pernottava da lui nel fine settimana. Inizialmente la gestione è stata un po’ problematica, sia per l’ex marito sia per il bimbo piccolo. Poi, con gli anni, comunque è andata un po’ meglio, dato che in tre anni abbiamo divorziato. Abbiamo raggiunto un accordo per il bene del bambino, siamo sempre andati anche ai compleanni, alla festa della scuola insieme, anche se con un po’ di disagio. Come genitori siamo stati presenti, apparentemente senza grandi conflitti.
Più tardi, verso i cinque-sei anni, ha iniziato a chiedermi della separazione e a dirmi: “Ma nessuno ha chiesto a me cosa avrei voluto fare. Avete deciso tutto voi due, ma nessuno dei due ha chiesto a me cosa avrei voluto io!”. Mi ha anche rinfacciato: “Era la cosa migliore per te e per papà, ma nessuno mi ha chiesto se fosse la cosa migliore anche per me. Ve ne siete fregati.” E purtroppo aveva ragione. A quell’età non possono ancora capire che la cosa migliore è comunque separarsi, piuttosto che costringersi a rimanere insieme sotto lo stesso tetto e litigare. La situazione sarebbe peggiorata, se fossimo rimasti insieme. Ho chiesto aiuto ad un’amica pedagogista. Io ho cercato di tenere sempre il punto, dandogli sempre le stesse spiegazioni in base alle all’età che aveva, perché le accettasse. Non ho cambiato versione nel tempo. Invece, i primi anni il mio ex rimuoveva completamente il discorso, e con il figlio non l’affrontava mai. Il bimbo mi diceva che quando faceva delle domande al papà, il mio ex non diceva niente, o non rispondeva o deviava il discorso. Al contrario io, che magari ero un pochino meno ferita, ho cercato sempre di dirgli: “Purtroppo papà e mamma non erano più felici. Non ne hai alcuna colpa tu, succede agli adulti e i figli non possono fare nulla per cambiare le cose Adesso, con due case diverse, invece, siamo più sereni, possiamo dedicarci interamente a te. Il nostro amore non ti mancherà mai”. Noi saremo sempre genitori, e soprattutto non l’abbiamo mai colpevolizzato. In seguito, nel periodo delle scuole medie, lui stesso ha iniziato a fare un po’ da tutor per quelli che invece avevano i genitori che si stavano separando, faceva un po’ lo spavaldo. Diceva loro “Io l’ho già vissuto, ti dico che si può fare: hai la tua casa di qui e la tua casa di là. I genitori si separano, ma tanto poi le vacanze le fai con tutti e due, e anche i regali sono doppi.” Quindi ha cercato a modo suo di tranquillizzare gli altri bambini, dicendo che i suoi genitori erano separati, che poteva succedere e che sarebbe andata meglio col tempo…
Sai, io ho cercato anche sempre di parlargli tanto, di dargli sempre delle motivazioni, di spiegargli le cose e di adattare la spiegazione a quello che lui poteva comprendere, perché se gli avessi dato le motivazioni da adulto non le avrebbe capite. Se avessi troncato e non avessi dato spiegazioni, si sarebbe insospettito perché non avrebbe capito, mentre in questo modo io dicevo sempre la stessa cosa, e così, tutto sommato, col tempo l’ha accettato, e ha imparato a conviverci. Ci vedeva insieme in occasioni come la festa di compleanno, la fine della scuola o la comunione – non è sempre stato facilissimo, però siamo sempre stati presenti tutti e due. Anche a scuola nessuno capiva bene, eravamo presenti e sembravamo ancora una coppia agli occhi degli altri. Non c’è mai stato imbarazzo evidente tra gli amici, il bambino non si è mai sentito in imbarazzo o si è dovuto schierare. Tutto sommato, abbiamo dato la stessa versione un po’ a tutti, e lui ci vedeva sereni. Si è rassegnato alla situazione con due case, due mazzi di chiavi, ove possibile tutto doppio. Abitiamo abbastanza vicino, quindi lui ha sempre visto regolarmente il papà: in questo modo non ci sono stati grossi problemi, per cui suo padre è sempre stato dentro alla sua vita anche quotidiana. Insomma, mi sembra che sia cresciuto con un certo equilibrio suo. Non vede le donne come delle stronze, e non vede suo padre come il cattivo che ha fatto soffrire la mamma.
Poi cercavo qualcosa da fare con mio figlio per le vacanze estive come genitore single, perché ovviamente avevo tutti amici accoppiati, e ho conosciuto la community OP.
C’è qualche consiglio particolare o qualche cosa che vorresti dire a chi, come te, deve affrontare questi problemi e magari è ancora nel guado?
Io vedo soprattutto che quelli che sono molto freschi di separazione, discussioni o di lacerazione della famiglia, non sono ricettivi sul momento. Hanno più bisogno di aiuto negli aspetti pratici: come organizzare le vacanze, le spese, come fare per la scuola e i libri, … Si aggrappano a queste cose pratiche: in quel momento è con l’aiuto spicciolo che li puoi aiutare a indirizzare un po’ meglio la nuova routine e a non scatenare ulteriori litigi. Se cerchi di rincuorarli, dicendo: “Col tempo vedrai che passa. Troverai un’altra relazione, tornerà l’amore” e così via, non sono ricettivi in quel momento, perché sono ancora molto feriti. A volte si buttano in altre storie quando ancora non hanno risolto quella da cui sono appena usciti: anche a me in parte è successo. La prima storia sentimentale dopo la separazione, come ho già detto non ha funzionato, perché tutti e due non avevamo risolto e non c’eravamo ancora distaccati dalle nostre rispettive situazioni conflittuali con l’ex. Non avevamo ancora superato il “lutto”, chiamiamolo così, ed è per quello che non ha funzionato. Adesso, con il mio attuale compagno, funziona perché tutti e due quando ci siamo incontrati avevamo raggiunto ognuno il proprio equilibrio. Gestivamo i nostri ex senza trascinarli nella nuova storia, con le nostre incazzature, le nostre problematiche. I figli sono andati abbastanza d’accordo subito tra loro, non si sono creati altri conflitti o altri motivi. Nella nostra storia non abbiamo portato il fardello aggiuntivo dei problemi precedenti irrisolti, ma solo tanto amore e voglia di stare insieme. Molti invece, anche se hanno delle storie successive, sono ancora incazzati con l’ex, e si trascinano dietro un bagaglio emotivo negativo. Scaricano addosso al nuovo compagno le problematiche che hanno con l’ex: questo è deleterio, perché o dall’altra parte c’è un santo che fa da punching-ball e assorbe come una spugna tutte le tue incazzature, le tue problematiche, altrimenti dopo un po’ l’altro ti molla. Per noi mamme non è facile, magari hai figli piccoli, sei donna, ma sei soprattutto mamma. Spesso hai il figlio, e quindi hai comunque un bel bagaglio ingombrante. Può essere che per un papà sia un po’ più semplice iniziare una nuova storia. Io ho avuto storie comunque con uomini-papà, perché chi non ha figli difficilmente avrebbe capito che succedono cose come il fatto che non posso uscire perché mio figlio sta male, il mio ex è in giro per lavoro o in ritardo, la babysitter magari non può aiutarmi, i nonni a volte neanche… ci sono alcune problematiche che i single non capiscono. In sintesi, se non si è raggiunto un buon equilibrio autonomamente, è difficile che le storie successive durino.
Adesso, in OP io cerco dove possibile di dare il mio aiuto, di spiegare agli altri quello che ha funzionato per me. Se però uno è disorganizzato, non ha mai gestito i figli, la casa, eccetera, si ritrova all’improvviso a dover gestire tante cose che prima non faceva, è molto difficile. Io, essendo già abbastanza organizzata – infatti organizzavo già molto prima, in famiglia – dopo la separazione non ho trovato grosse problematiche, anche da un punto di vista organizzativo. Il mio ex marito invece è sempre stato più disorganizzato, quindi era inutile dirgli: “Tu non sai fare questo, non sai fare quest’altro, eccetera”. Al contrario, gli ho detto: “Guarda, tengo io un file Excel per le spese e lo condividiamo. In una cartella elettronica carico tutti i documenti di nostro figlio così almeno sono facilmente consultabili, dato che siamo sempre in giro”. È inutile che mi arrabbi con lui e pretenda che adesso diventi il padre modello, si occupi del bambino come vorrei io: ha sempre fatto il meglio che poteva, quello che riusciva. Magari il bambino tornava tutto sporco, con la sua roba sporca, perdeva i calzini, si dimenticavano le cose; pazienza, frenavo la lingua e non mi incazzavo perché tanto era manchevole anche prima. Era inutile arrabbiarsi: come facevo a pretendere da lui che diventasse organizzato nelle piccole cose quotidiane, quando non lo era neanche prima? Ho cercato, dove possibile, di tamponare, anche se per farlo ci vuole forza ed equilibrio, che non sempre uno magari ha durante la separazione. Mi ha avvantaggiato il fatto di aver elaborato il disinnamoramento e di volere la separazione mesi prima di lui. Infatti, anche lui spesso mi diceva: “Ma tu come fai a essere così?” Io sono andata dall’avvocato e dalla psicologa prima di separarmi, per farmi spiegare bene tutto quello a cui andavo incontro. Lui era rimasto stupito che io mi fossi preparata prima, ma l’avevo fatto perché sapevo che avrebbe stravolto la vita di tutti e due, volevo sapere prima a cosa sarei andata incontro, se davvero volevo rovinare tutto. Mi sono presa il tempo di elaborare, di prepararmi. Emotivamente ero più distaccata di lui, avevo già elaborato la mia crisi interiore; per me è stato più facile, credo che siano dinamiche normali: in certi momenti della coppia chi può mette la forza che ha in quel momento. L’equilibrio, la forza, l’empatia verso l’altro sono messi da quello dei due che è più empatico, più equilibrato in quel momento: se tu sei già ”squilibrato”, una situazione del genere ovviamente ti manda in tilt. Io tendo a non portare rancore, ricerco equilibrio, pace e tranquillità; non mi sarei trovata bene in una situazione di tensione e discussione continua. Al contrario, chi invece è abituato al conflitto cerca di alimentarlo anche dopo. Io no, io mi allontano, come ho fatto con le storie sentimentali che non hanno funzionato. A un certo punto si deve ammettere che la situazione è diventata tossica ed è meglio chiudere. L’equilibrio personale è fondamentale. Se sei equilibrato e sereno va tutto meglio: prima, durante e dopo, sia per la vita di coppia, sia dopo che questa si è disfatta.
Spero che le nostre storie possano far capire e veicolare il messaggio che prima devi risolvere i tuoi problemi, e solo successivamente potrai risolvere i problemi di coppia o gestirli meglio, per lo meno. Ci ho pensato tanto, perché una separazione è un progetto fallito, e a me dispiace fallire. In quelle circostanze non sono riuscita a portare avanti o a stabilizzare la nostra relazione come avrei voluto; anche se una relazione si fa sempre in due. Tutto sommato, se si rivela un fallimento, pazienza: accetti di aver sbagliato e vai avanti. Nelle relazioni successive ho cercato di non ripetere gli stessi errori fatti in precedenza. E’ vero anche quello che ogni tanto mi dice il compagno attuale: noi ci siamo trovati adesso e andiamo d’amore e d’accordo, ma se ci fossimo conosciuti 20 anni fa magari non saremmo stati così aperti, così equilibrati, non ci saremmo magari neanche innamorati l’uno dell’altra. Perché noi siamo così adesso, dopo aver sbagliato per anni coi nostri rispettivi ex. Quando ci siamo conosciuti, ci eravamo già liberati dei rispettivi fardelli, avevamo alle spalle un certo equilibrio con i figli e con tutto il resto. Abbiamo iniziato e continuiamo ad andare avanti con una sintonia pazzesca, frutto di tutto quello che siamo stati prima. Ci sono anche relazioni/matrimoni che funzionano benissimo fin dall’inizio, quindi sicuramente è anche questione di fortuna: magari si arriva prima a molti compromessi. Io adesso arrivo molto più a compromessi rispetto a prima. Prima affrontavo le cose di petto; magari non avrebbe funzionato nessuna relazione iniziata a vent’anni. Le relazioni che hai a vent’anni non possono che essere diverse da quelle che hai a 40 o a 50. Per forza, siamo più maturi. Le storie che funzionano bene funzionano perché le due persone riescono a cambiare insieme, magari riescono a puntellarsi e a evolversi senza divergere. Vanno avanti in parallelo e con equilibrio. In questi casi le due persone crescono e maturano insieme, oppure uno dei due stampella l’altro quando questo va in crisi. Se per qualunque motivo uno prende una strada diversa dal partner, oppure tutte e due vanno in crisi insieme, si allontanano; a un certo punto l’equilibrio si spezza. È per quello che dico che se uno riesce ad avere l’equilibrio personale poi riesce a gestire meglio tutte le situazioni critiche o spiacevoli. Puoi fare la stampella, oppure puoi accettare di essere accompagnato e sostenuto nel percorso da un altro; puoi fare tante cose che invece, se sei debole, o sei fragile e non lo sai, non riesci a fare. Vedo alcune persone che si aggrappano subito a un’altra storia che comunque non le aiuta, perché nella nuova storia portano i loro problemi, oppure usano la storia e ci si aggrappano. Facendo così non ti guardi dentro, non risolvi i tuoi problemi e non ritrovi il tuo equilibrio. E’ capitato anche a me in passato: tu cerchi nell’altra persona, appunto, quella stampella, che ti può aiutare per i problemi tuoi. Se è una cosa temporanea, che ti aiuta mentre tu ti tiri su, è un conto; ma se è una cosa che continua nel tempo, per cui tu hai costantemente bisogno di quella persona come stampella, non può funzionare. Se tu non hai risolto i tuoi problemi e chiedi che sia l’altro a risolverli per te, non funziona, o meglio funziona temporaneamente, per aiutarti in certi momenti, ma solo se poi sei tu a muoverti. Se invece tu cerchi in un’altra persona chi risolva il tuo problema e gli scarichi addosso tutto l’onere di essere la tua stampella/il tuo bastone, non può funzionare. A me hanno fatto da supporto le sorelle, gli amici, quindi io non ho cercato in un’altra relazione la forza per risolvere i miei problemi. Il fatto di avere comunque delle persone vicine, la famiglia e gli amici che ti sostengono e ti sono vicini ti permette di riprendere a camminare, zoppicando, e piano piano, riprendere il tuo cammino. Sono una persona che coltiva le amicizie: quindi, siccome donando poi ricevo anche tanto, tutto sommato non mi sono annullata nel matrimonio. A un certo punto ho recuperato gli amici, la famiglia e così via. Invece ci sono persone che si allontanano dagli altri, si isolano quando sono in una relazione, e poi si ritrovano soli quando questa finisce. Io non ho avuto questa sfortuna, perché ho coltivato sempre gli affetti. Se uno è più timido, meno attento agli altri, ha avuto magari una storia che gli ha fatto sviluppare di meno le relazioni sociali, ha meno strumenti. È nella mia stessa situazione, ma magari fa molta più fatica ad uscirne, sicuramente. Altri, nel momento in cui arriva la crisi, avendo investito tutto nel rapporto di coppia e nel matrimonio, poi si ritrovano isolati da tutto il resto; rimane in loro quel vuoto che fa paura. Quel vuoto io non l’ho percepito, ma solo perché tendenzialmente cerco di affrontare tutti i problemi che si presentano, e quando i problemi non dipendono da me, li evito o mi allontano, non rimango ferma, impantanata. Tanti lo fanno: restano impantanati. Sono anche quelli che poi magari si appiccicano al primo/a che trovano e, se non va bene, restano impantanati anche con quello/a. In realtà facendo così non risolvono il problema da soli, ma si aggrappano agli altri. È molto rischioso, perché come prima ti aggrappavi al matrimonio, poi, anche se non te ne rendi conto, ti aggrappi sempre a qualcun altro. Uno deve coltivare più rapporti affettivi (famiglia, amici, non intendo amanti), in modo tale che non si vacilla, se uno di quelli va male.
Questo significa che devi essere tu a risolvere i tuoi problemi e ad ammettere: ho questo difetto, questo problema, lavoro per eliminarlo. Bisogna fare qualsiasi cosa sia necessaria per sistemare le cose che non vanno. Ci sono molti che, per tanti motivi, non riescono non solo a capire che cosa debbano fare, quale sia la loro debolezza, ma neanche a rendersi conto che hanno una debolezza, e che certe cose lo danneggiano. Bisogna essere anche umili, per dirsi: non sono in grado, mi faccio aiutare da un professionista. Uno psicologo, o simili, che può aiutarmi vedendomi dall’esterno, che mi aiuti o mi dia gli strumenti per affrontare il problema. Molti non ci vogliono andare, e anche tra quelli che ci vanno ce n’è una quota che in realtà non fa veramente l’introspezione che dovrebbe fare. Certo che se, ad esempio, una donna è sempre stata dipendente dal marito, sempre succube della famiglia, è passata dalla famiglia al marito e poi dopo il marito non ha trovato nessuno, alla fine ha fatto terra bruciata intorno a sé, fa fatica a prendere in mano la propria vita, non ha tante chance. E’ molto frequente che si imbarchi in un’altra storia, cercando una stampella, cercando sempre un equilibrio negli altri; ma a un certo punto deve chiedersi: “Cosa mi fa star bene?” Bisogna cercare di coltivare i propri interessi, quello che ti fa star bene e andare avanti nella propria vita, magari aiutando gli altri, perché è una cosa che ti arricchisce tanto. Mi dà molto di più di quello che io do agli altri. Mi fa proprio star bene. A me viene naturale dare, ma ricevo anche tanto dagli amici, dalle conoscenze, anche da OP; alla fine è un circolo virtuoso. Si crea un ambiente positivo, popolato da persone positive, anche se siamo tutti separati, divorziati, vedovi e tutti un po’ “sfigati”… In OP ho trovato quella relazione sociale che in parte avevo perso, ho riscoperto i miei interessi, i viaggi, le vacanze… Ho ritrovato il gusto, la bellezza delle relazioni sociali, dell’aiutare e dell’esser aiutato, condividere le cose belle e anche quelle brutte. Tutte quelle cose che, comunque, ti fanno vedere che non sei solo e che c’è tanta gente come te, che ha ripreso la vita in mano, ha ripreso le redini della sua vita.
Pensi che la tua esperienza possa essere utile agli altri?
Può servire a qualcun altro per vedere che, tutto sommato, alcune cose hanno funzionato, altre un po’ meno, ma alla fine dai periodi bui si esce sempre. Mi piace la mia vita di adesso; mi piaceva anche quella prima, non è che rinneghi il passato. Ho voluto cambiare: la vita di adesso è molto più felice, equilibrata, piena di stimoli. Sia a 50 che a 30 anni uno zoppica, cade, poi si rialza e va avanti. Certo, non va avanti più con il ritmo e il passo di prima, ma si trova un nuovo ritmo. Un nuovo passo che ugualmente gratifica: è come se invece di fare la maratona o la corsa dei cento metri che facevi da giovane, vai a fare viaggi o cose che una volta non facevi, diverse ma altrettanto belle, purché ti facciano star bene. L’equilibrio lo raggiungi anche così, facendo delle cose che ti piacciono, circondandoti di persone e pensieri positivi. Se vedi che quello che fai viene apprezzato, che è qualcosa di positivo che aiuta gli altri, hai un ritorno di emozioni positive con le relazioni che costruisci, così costruisci, mattone su mattone, la tua nuova fortezza, e non solo quello.
C’è una situazione che abbiamo vissuto in molti, in cui ti senti un fallito e lo ammetti. È a questo punto che bisogna andare avanti, non rimanere lì a piangere. Si devono coltivare le relazioni sociali, fare quello che gratifica e fa piacere. Si scoprono, nel riflesso delle cose che si fanno e negli altri, delle parti di noi stessi che non si conoscevano, erano state sottovalutate o non erano abbastanza sviluppate, e quindi si finisce per scoprire anche che alcune cose sono diverse da come si credeva che fossero. Ci sono anche delle parti migliori, che nei momenti in cui ti senti fallito non vedi, perché sei troppo coinvolto; per vedere devi distaccarti un attimo, devi superare la crisi. Dopo un po’ scavi, scavi e arrivi al fondo del barile: e qui io tendo a rialzarmi, perché, dopo che mi sono crogiolata nel dispiacere – ho un matrimonio fallito, ho fatto soffrire il mio ex, mio figlio è figlio di separati – mi rialzo e vado avanti. Oggi mi dà quasi fastidio ripensare alle cose brutte del passato, preferisco pensare alle cose belle che posso fare o che accadranno domani. Vedo le cose brutte o sbagliate del passato, le ho fatte, ma in quel momento ero convinta di ciò che facevo, anche se alla fine non ha funzionato. Non sono stata in grado di mantenere la famiglia unita: lo ammetto, ho fallito. Però non mi devo colpevolizzare a tal punto da imbruttire: mi voglio bene. Mi dico va bene, ho sbagliato, in quel momento non ero in grado di fare di meglio, per questo e questo motivo. Adesso quei motivi non ci sono più, quindi qualunque cosa faccio ora, posso far di meglio, vado avanti. Ecco, partiamo, facciamo qualcosa di migliore in futuro. Non ho rimpianti, perché ho cercato di fare al meglio quello che in quel momento mi sembrava che fosse la cosa migliore. Ci ho provato fino alla fine. Mi rendo conto che a quarant’anni, mamma di un bimbo piccolo, non è una situazione proprio tanto appetibile; e va bene, troverò una persona che accetti il pacchetto intero, con mio figlio e vorrà bene a tutti e due. E guarda un po’ è successo proprio questo!
La sintonia con il partner non è un dono del cielo, non è una manna che è scesa dall’alto, è il risultato appunto di un equilibrio personale che ti permette, non dico di essere sempre in modalità Zen e non avere mai problemi, ma di affrontare le cose nella loro giusta luce, per cui si riesce a minimizzare, a superare, a lavorare sugli aspetti negativi e si gode di quelli positivi, con sé e con l’altro. Ma se non sei in equilibrio con te stesso prima, non lo sei neanche in coppia. Anche se te lo dicono gli altri, nel momento in cui sei in balia degli eventi non la capisci. È un percorso che ognuno deve fare con i propri tempi, che sono molto soggettivi. Intendo dire che finché non ci arrivi, finché non hai o non acquisisci certe consapevolezze, non riesci a far le cose così come sto dicendo. Non si deve avere fretta, perché quando sarai tu ad essere bene equilibrato, andrà tutto meglio per te e per gli altri: per la coppia, per gli amici e per i figli. Molti invece cercano un anestetico; siccome soffrono tanto, chiedono la ricetta per non soffrire. Purtroppo bisogna soffrire, c’è una fase della vita in cui per forza ti devi fare la tua dose di dolore, di sofferenza, di pianti, di incazzature, di delusione, perché altrimenti non riesci a superarli, non riesci a chiudere con il passato. Se non affronti i problemi, se li rimuovi e li accantoni, poi si ripresentano. Una separazione, un divorzio è come un grave incidente d’auto: dopo un incidente grave non vuoi fare la rieducazione, vuoi metterti subito a correre? Vuoi rimetterti al volante subito, quando hai le braccia spezzate? Vai con calma, rimettiti a posto, fai la rieducazione necessaria. Ritorna a essere forte come eri prima, magari anche meglio di prima; allora piano piano riprendi a fare le cose. Ma, ripeto: è una consapevolezza che è molto difficile avere, soprattutto nei primi periodi. Molti non riescono ad essere neanche ricettivi riguardo ai consigli, perché sentono ma non ascoltano attentamente. Sono degli zombie che vanno avanti così anche per anni. C’è questa frenesia di uscire, di fare, di conoscere persone nuove, che è un po’ come un anestetico: si esce, si fanno delle cose perché non bisogna pensare ai problemi. Tuttavia, i problemi sono lì, non spariscono da soli, e prima o poi bisogna affrontarli e risolverli, trovare la propria ricetta. E’ difficile che un altro riesca ad aiutarti con una pennellata di bianco, a rifarti la tua vita come vorresti tu. Ognuno, purtroppo, deve trovare la ricetta per sé; se la deve costruire da solo, per raggiungere l’equilibrio, perché una ricetta uguale per tutti al tempo stesso c’è e non c’è. La ricetta uguale per tutti può essere genericamente questa, e si riesce a vedere come tanta gente alla fine sia riuscita ad uscirne. A grandi linee, il percorso è uguale per tutti, ma in realtà non c’è un manuale da seguire passo per passo. Ognuno secondo me deve trovare il suo percorso, e questo è l’altro grande insegnamento. Devi essere tu a volerti tirare fuori; non c’è un altro che lo può fare per te. Però puoi avere da tutte queste esperienze, da tutti questi esempi, dalla psicologa e così via, gli strumenti per capire che cosa devi fare tu in prima persona per tirartici fuori. Eh sì, si fa fatica, si fa fatica perché speri sempre che sia qualcun altro, lo psicologo, il nuovo compagno, a risolvere i tuoi problemi per te, a renderti felice. Alla fine, ho visto che la maggior parte delle volte, quando me la sono cavata da sola, dopo andava molto meglio. Avevo imparato a risolvere il problema, e così, anche se poi ci sono stati altri problemi, me li sono risolti e sono andata avanti. Ho sempre detestato essere in balia degli altri: perché vuol dire che hai sempre bisogno, non sei autonomo in tante cose, e quindi preferisco fare le cose male, ma farle da sola, visto che tanto non posso divorziare da me stessa! Non è detto che gli altri siano là a risolvere le cose per me o ad aiutarmi quando ho bisogno: quindi tanto vale essere autonoma. Se io sono autonoma, capace di cavarmela, posso essere da sola, in compagnia, in coppia, non importa: l’importante che io stia bene. Anche questa è una cosa semplice, ma finché non l’hai capita non agisci nel modo corretto.
Ci sono persone che saranno sempre in balia degli altri, o sempre in perenne ricerca dello scontro, della discussione, perché altrimenti non si sentono vivi. È una specie di gratificazione compulsiva: come ci sono persone che devono cambiare amante ogni mese, perché così si sentono sempre belli e desiderati, così ci sono quelli che, invece, devono sempre dimostrarsi un gradino sopra gli altri, sempre dire: “questa situazione l’ho vinta, in quell’altra cosa sono stato più bravo”. Quando hai bisogno di questo tipo (o anche altri tipi) di gratificazioni continue, compulsive, c’è qualcosa che non va. Si rimane dipendenti dall’esterno, si ha bisogno sempre di gratificazioni che vengono da fuori. C’è sempre bisogno di qualcosa, qualcuno, situazioni o persone che ti gratifichino. Quindi, alla fine, quando sei da solo non riesci a gratificarti con te stesso, e alla fine non stai bene. È per questo che a queste persone star soli non farà mai bene, perché trovano la gratificazione solo nel rinforzo positivo degli altri. Inoltre, può essere anche una situazione deleteria, perché secondo me una cosa è sapere di piacere, un’altra voler essere sempre il migliore: perché non puoi mai essere il migliore sempre e comunque. Se vuoi essere il migliore, tu valuti continuamente gli altri. E allora bisogna capire che relazione instauri con queste persone: se tu entri in relazione con una persona perché la vuoi svalutare, perché la vuoi sentire inferiore a te, non potrai mai arrivare da qualche parte nelle relazioni sociali.
Poi ci sono i modelli educativi o familiari o certe dinamiche che ti porti dietro dalla tua famiglia di origine. Mi rendo conto che i difetti del mio ex (e in parte anche i miei) erano dovuti alla famiglia, cioè ci siamo portati dietro alcune dinamiche perché tendevamo a replicare il modello educativo dei nostri genitori. Ad esempio, lui aveva dei genitori litigiosi, e quindi alla fine cercava molto più lo scontro di me. Tu trascini nell’ambito della relazione il modello dei genitori, il rapporto con loro, soprattutto con la mamma, in maniera cosciente o incosciente. Non volevo fare la radiografia di quel che è successo a me: era solo per dire che ho capito anni dopo molte cose. Quando si raggiunge la consapevolezza di quello che succede, di come sei fatto, delle cose che tu segui pensando che siano giuste, mentre invece magari sono condizionamenti esterni o dei genitori, allora puoi analizzare veramente e smontare i problemi. Arrivi ad un momento in cui senti che riesci a vedere le situazioni dall’esterno, mentre quando ci sei dentro non riesci a percepire in maniera obiettiva e lucida molte dinamiche, errori ed emozioni. Ci sei dentro, in balia degli eventi, e non li riesci a guidare. Al contrario, quando sei arrivato a un certo tipo di equilibrio è perché probabilmente il grosso di questo disequilibrio non lo hai più, o lo hai capito e lo hai smontato nei fatti. Allora riesci a essere più distaccato, anche da te stesso, e a guardarti con bonarietà. Ti perdoni dei tuoi sbagli e sei benevolo verso te stesso, guardi avanti.