Raccontaci tua storia.
Sono un genitore cinquantenne, vivo alle porte di una grande città al Nord, ho due figli. Sono genitore single da tanti anni. Ho conosciuto il mio amore e ci siamo sposati negli anni Novanta; quindi la nostra relazione è durata qualche decennio, fino alla sua dipartita. Avevamo grandi aspettative, e insieme avevamo realizzato il sogno della nostra vita: eravamo usciti sia dalle nostre famiglie che dal paese di nascita, e abbiamo iniziato una nuova vita. Ma questa è finita quando sono diventato un genitore vedovo, oltretutto senza preavviso; mi sono trovato improvvisamente solo, con un ragazzo nella piena adolescenza, e una bambina più piccola. Questa cosa mi ha chiaramente molto segnato, è stata una cosa molto difficile da superare.
Come hai affrontato la crisi?
Ero disperato, questa cosa è successa improvvisamente: non ho avuto nessuna avvisaglia, non è stata una malattia molto lunga, non ho avuto nessuna preparazione alla cosa. È successo all’improvviso: per cui, dall’oggi al domani mi sono trovato con la vita cambiata completamente. L’ho affrontata con il grande sostegno delle amicizie che avevo e che mi hanno sorretto in tutto e per tutto, e con il lavoro che mi ha molto aiutato in quel periodo. È un momento in cui ti senti completamente solo, ti senti un fallimento, non sai da che parte girarti e soprattutto non sai se riuscirai a crescere i tuoi figli: questa è stata la mia grande paura in quel momento. I miei figli adesso sono cresciuti, sono riuscito a realizzare una parte dei loro sogni: loro studiano e io ho superato grandi problemi, anche economici. Il mio coniuge era un libero professionista e avevamo un certo reddito; dopo la sua morte lo studio è stato chiuso, non potevamo portarlo avanti, e quindi, per la prima volta, i problemi economici sono apparsi nella mia famiglia; o meglio li ho visti io, perché ho cercato di capire come dovevo fare ad andare avanti, anche economicamente. Avevo però il mio lavoro, e quindi questo mi ha permesso, in tutti gli anni successivi, facendo moltissimi sacrifici, cercando di impegnarmi al massimo, di essere tranquillo oggi. I miei figli oggi sono entrambi maggiorenni, hanno finito la scuola e possono entrambi trovarsi un lavoro. Quando erano più piccoli avevo sempre l’angoscia di non riuscire a poter far realizzare a loro quei sogni o quelle cose che avremmo magari potuto realizzare se la nostra famiglia fosse stata quella che avevo deciso di costruire.
Hai avuto un aiuto dai tuoi genitori e dai tuoi suoceri?
Ho avuto degli aiuti sicuramente psicologici, ma io abito a parecchi chilometri da mia mamma, e molto lontano dai miei suoceri: da parte loro, quindi, non ho avuto se non degli aiuti psicologici, nessun aiuto pratico. Devo dire che ho avuto molti aiuti pratici dalle amicizie che avevo formato negli anni, perché dove abito è pieno di famiglie giovani, e quindi c’erano tantissime famiglie sole per altre motivazioni, sole anche perché magari erano separati, o per vari altri motivi, e loro mi hanno dato una grande mano.
Come vivono oggi i tuoi figli?
Il maggiore, quando morì l’altro genitore, era adolescente. È stata particolarmente dura la perdita, perché era legatissimo alla figura che gli è venuta a mancare, e soprattutto era un ragazzino molto esuberante: per me è stato molto complesso riuscire a contenere le sue esuberanze. Parlo di esuberanze perché non ha mai fatto niente di grave; però anche le semplici esuberanze, essendo io genitore solo, non sono state facili da contenere. La minore era ancora una bambina piccola. Anche con lei ho avuto dei piccoli problemi, perché lei è invece molto simile al genitore mancato, e ha tantissimi interessi simili a quelli che aveva lui, e ha sofferto moltissimo anche lei della perdita.
Entrambi adesso sono maggiorenni, sono due ragazzi vorrei dire equilibrati; non so se dirlo, perché hanno sofferto moltissimo e quindi il dubbio rimane… Con loro abbiamo parlato della morte del loro genitore solo molti anni dopo: la perdita, per loro, è ancora un dolore che credo non passerà mai, perché era una figura molto presente, e quindi la mancanza di questa figura li ha sicuramente segnati. Hanno imparato a cavarsela da soli, hanno imparato che comunque la vita va avanti, che era quello che volevo trasmettere loro: ce la si può fare ad affrontare davvero molte cose. Uno adesso vive a Torino da solo, e ha imparato ad affrontare pian piano tutto quanto. L’altra ha ancora tanti sogni e vorrebbe fare tante cose, e anche lei sta cercando di superare il trauma. Ormai sono grandi, ma tutti e due sono rimasti segnati da questa cosa, chi in un modo chi nell’altro, perché non è una cosa facile da superare.
Cosa vorresti dire a chi, come te, sta vivendo questa esperienza?
La mia esperienza è stata questa: nei primi momenti ti senti mancare, anche dal punto di vista economico, e dal punto di vista delle cose che devi fare, infinite, burocratiche e che al momento ti sembrano insuperabili. A chi sta vivendo questa esperienza vorrei dire che questi aspetti sono delle sciocchezze. Le cose pratiche finiscono, queste cose si superano, le carte finiscono, gli impegni finanziari e tutte le cose burocratiche finiscono. Ciò che rimane sono i tuoi figli, e la necessità di cercare di superare tutto, insieme a questi figli, cercando un dialogo, che è una delle cose che spesso manca; perché un genitore, nel momento in cui si trova solo, è talmente pieno di cose da fare e da pensare, ed è talmente ferito che magari tralascia alcune cose importanti. Io l’ho vissuta in questo modo.
La cosa che mi sento di dire è non disperarsi, al momento della perdita, per le cose pratiche che ci sono da fare: perché ce ne sono centinaia, e capitano tutte insieme a chi rimane. Dalle pratiche di successione, alle pratiche per cambiare la macchina, ti sembra di impazzire in quel momento, e invece alla fine si risolve tutto: ci sono molti enti che ti possono supportare, tanti tipi diversi di sostegni economici, mentre magari invece in quel momento ritieni che quegli aspetti siano i più difficili. La mia esperienza è stata quella di uscire e cercare persone che mi potessero supportare. Se hai delle amicizie sei fortunato. Io avevo delle amicizie, ma ad un certo momento mi sono trovato ad entrare in OP per cercare delle persone con situazioni simili alla mia. Se posso dare un consiglio, trovare persone nella tua situazione ti fa sentire meno solo; questo è l’altro consiglio che posso dare, dato il mio percorso, e dopo essere arrivato, dopo anni, a raggiungere un minimo di equilibrio. Un equilibrio che ho raggiunto magari sotto alcuni punti di vista ma non su altri; ma comunque, dai, abbiamo fatto del nostro meglio!
L’altra cosa che vorrei dire è che spesso si pensa che i bambini piccoli siano quelli che soffrono di più in situazioni di perdita di uno dei genitori: io ritengo invece che invece il bambino piccolo abbia delle risorse più grandi di quelle che pensiamo, e che il suo sia un dolore da bambini. Invece il dolore dei figli più grandi, dei figli adolescenti, è un dolore “adulto”, come quello che proviamo noi quando si perde una persona cara, esattamente uguale. Quindi, spesso sento persone, vedovi come me, che avendo bambini piccoli pensano che questa sofferenza sia totalizzante. Certo, è una sofferenza grande anche per loro, non dico di no, ma è un dolore da bambini. Si attaccheranno alla loro mamma, o al loro papà se è morta la mamma, e la cosa andrà avanti, e la loro situazione familiare sarà quella. Io credo che per loro sia più facile costruire qualcosa anche in assenza di un genitore, perché la costruiscono mentre sono dei bambini; mentre invece, quando sei più grande e avevi già costruito qualcosa, e questa ti crolla, beh, allora sei disperato. Non solo: io credo che l’adolescenza – visto che nell’adolescenza molti ragazzi hanno delle ribellioni, o dei “momenti un po’ particolari” (chi ci è passato sa di cosa sto parlando) – credo che quello sia il momento più duro per perdere un padre o una madre, anzitutto perché hai un dolore da adulto, perché tu sei praticamente già un adulto, ma soprattutto sai bene che cosa avevi e che cosa hai perso per sempre. Io so che uno dei miei figli, in momenti di grande sconforto, quando c’erano dei litigi, mentre io cercavo di dare una linea di un certo tipo, facendo sia da madre che da padre, spesso andava addirittura alla tomba per piangerci su, cosa che un bambino piccolo non farebbe. Non è giusto dare consigli, ma io mi sento di dire questo, perché oltre che genitore solo ho perso mio padre che ero un bambino: i bambini piccoli crescono e hanno la loro mamma o il loro papà che gli vuole tantissimo bene, e loro si attaccano alla persona che resta. Io ho visto che nella mia situazione, con i miei figli che hanno qualche anno di differenza, con uno di loro che faceva le elementari, insomma era una bambina, anche se amava tantissimo il genitore che è mancato – anche perché avevano gli stessi interessi – in seguito ha sviluppato con me un attaccamento diverso. Per lui è così, punto: la sua famiglia siamo noi, mentre per l’altro è stata molto dura abituarsi a non essere più in quattro. Mi permetto solo di dire questo: un dolore da bambini è un dolore di un bambino, e quindi è meglio considerarlo tale, non stare a struggersi su quello che succederà nell’adolescenza, perché un bambino vivrà quella situazione familiare come la sua normale. Questo non vuol dire che non ci sia sofferenza, eh, però…
Molti pensano che i bambini orfani, o i bambini dei separati, siccome sono sfortunati, debbano essere portati dallo psicologo per qualsiasi cosa “fuori le righe” succeda in classe o fuori, perché – poverini – non hanno la mamma o il papà. Quando sento queste cose, dette per bambini magari addirittura di quattro, cinque anni, delle volte penso: forse stiamo proprio sbagliando, diamo delle volte delle colpe ai problemi per i genitori quando magari non è così. Infatti, per esempio, mio figlio aveva comportamenti ribelli quando era ancora in una famiglia normale: aveva degli atteggiamenti molto esuberanti anche quando eravamo una coppia normalissima, senza problemi economici, senza nessun tipo di problema, perché quella fase della vita era così. E questo che intendo dire: non è perché c’è stato un trauma che poi una persona per forza sarà un bambino o un ragazzo problematico… non vorrei che la gente si fossilizzasse in questi stereotipi: queste cose si superano, soprattutto se i bambini sono ancora piccoli.
Quanto è pesato il fatto di dovere essere un genitore solo non solo per le incombenze pratiche, ma anche per quelle educative e psicologiche verso i figli?
Un aspetto è proprio questo: soprattutto nei figli adolescenti e preadolescenti, ma anche nei figli più adulti, possono esserci delle problematiche importanti. Premetto una cosa: finora non ho avuto, grazie a Dio, problematiche sanitarie gravi, che è un’altra delle cose veramente pesanti che un genitore deve affrontare. Però ho dovuto affrontare un altro problema importante che mi ha segnato moltissimo, perché sono convinto che questa cosa affrontata in due (con l’altro genitore) sarebbe stata diversa. Probabilmente non saremmo arrivati dove siamo arrivati, la cosa sarebbe stata affrontata in maniera diversa. Per me è stato pesantissimo psicologicamente non avere nessuno con cui condividere questa cosa, qualcuno che amasse i miei figli allo stesso modo mio, perché la cosa importante è questa. In quel momento particolare io ho sentito la totale mancanza non del coniuge, di chi ti poteva sostenere in quel momento, ma di chi poteva amare i figli allo stesso modo mio. Vedi: due genitori, anche se sono separati, amano il proprio figlio infinitamente, perché è il loro figlio. È diverso, invece, affrontare da soli problemi molto importanti, sanitari ma anche di altro genere: diventa stressante sia per il figlio che per il genitore, che non può condividere quel tipo di amore per i figli, o la loro tutela con un’altra persona. Per farvi capire cosa intendo: una volta vidi un film su Netflix, in cui un genitore si trasformava, trasformava la sua personalità e arrivava addirittura a pensare di uccidere la persona che aveva fatto del male a suo figlio; questo per farvi capire cosa intendo per amore che si arriva ad avere per il proprio figlio. Io credo che solo quando si arriva a quel punto si possa capire: quando tuo figlio è in pericolo e tu non hai nessuno con cui condividere questo amore folle che hai per quel figlio, al punto di arrivare addirittura a pensare cose pazzesche.
Io ho avuto i miei figli in gravissimo pericolo per la loro vita mentre ero lontano da loro migliaia di chilometri e non potevo aiutarli o proteggerli. Ho perso tutta la mia razionalità, e questa cosa la puoi condividere solo con l’altro genitore, che ama tuo figlio allo stesso modo tuo, cioè infinitamente… Questa è l’esperienza più dura che ho avuto, dove ho sentito la grande mancanza di essere un genitore solo: di fronte a un problema serio non ho avuto nessuno che potesse condividere la mia situazione. Esistono cose molto gravi che possono succedere, come una malattia, un pericolo o una tragedia come questa cosa che è capitata a me, ed è a quel punto che ti senti completamente solo, perché scopri quell’amore che va oltre, perché insomma è il sangue del tuo sangue che viene fuori: sapere che tuo figlio può soffrire, allora tu puoi addirittura cambiare te stesso…. A me è capitato. Solo in momenti come quello, non per altri problemi che invece secondo me possono essere affrontati anche da soli. È stato tutto molto faticoso da soli; ma tutte le altre situazioni sono state sciocchezze in confronto.